Il chiaro abbandono
In riva al lago, prima che si eclissi un timido sole d’Inverno, s’incrociano antichi pensieri d’Oriente e Occidente, e l’immagine diventa specchio della Volontà.
Tempo e spazio sono le due coordinate in cui si svolge questo gioco, ma in realtà tempo e spazio sono creati (o quantomeno vissuti come dimensioni assolute) nel momento in cui pensiamo (e dunque creiamo) la discrepanza, la disuguaglianza, tra ciò che é e ciò che dovrebbe essere. Non accettare ciò che siamo ora e dare avvio al desiderio di ciò che non è origina la volontà di Potenza. La verità e la consapevolezza si spostano dal punto di partenza (ciò che siamo) a un obiettivo posto indefinitamente in un luogo o uno spazio altrove. Ecco che necessariamente allora viviamo, e periamo, nel Tempo, in quando dominati e alienati dall’oggetto del desiderio, spesso irraggiungibile o comunque parziale.
Lo stare fuori dal tempo, giocare con il mondo e con il tempo come se lanciassimo ogni volta dei dadi – per recuperare un’immagine di Eraclito – è una forma di sospensione: è riconoscere che siamo sempre alla ricerca ma non ci esauriamo mai nella risposta: la “chiara vista”, il ming buddhista, si ottiene quando si smette di cercarla. La volontà di Coscienza resta in attesa, quieta e vigile: perennemente in ascolto del mondo, pronta a dire “si!” e “no” agli eventi e alle cose del mondo, non cerca di creare o trasformare il mondo in ciò che può soddisfare l’individuo. La poiesis, la produzione delle risposte ai bisogni, la creatività vera, non parte mai da ciò che non è, ma trasforma sempre ciò che è.
C’è un termine tra i pochi che congiungono Oriente e Occidente. Gelassenheit si può tradurre comunemente con serenità, ma il suo significato storico, dalla mistica medievale di Meister Eckhart – da cui ho ereditato la teologia negativa del Verbo di Kleros dei miei romanzi – è quello di “abbandono”: lasciarsi andare sull’acqua, ancorati al nostro centro ma sempre pronti a spiegare le vele.
Allora l’abbandono, come premessa della chiara vista dell’essenza delle cose (il ri-trovarsi nel mondo e il trovare il mondo dentro di Sé) deve togliere tutti i colori e tutte le forme, per poter diventare tutti i colori e tutte le forme.
Specialmente oggi, in cui, come avvertiva già decenni fa il filosofo tedesco, la nostra Coscienza non può tenere il passo della velocità della Tecnica (le cose, la produzione, la Potenza: pensiamo a quanto siamo sempre più dipendenti dagli oggetti della tecnologia per il nostro vivere quotidiano), la ragione per restare libera e critica deve cercare il duplice atteggiamento di abbandono a e abbadono di: lasciar entrare gli oggetti nel nostro essere, dunque abbandonarsi ad essi, ma pronti a lasciarli andare, a lasciarli fuori dalla nostra vera necessità, in quanto non essenziali, mai assoluti.
Ma lo stesso abbandono, riprendendo ancora la mistica renana, è l’abbandono quotidiano alla fine, l’accettazione della morte come l’espirazione è congenita all’inspirazione. Come significato per vivere pienamente la vita e ritrovare nella più piccola luce quel fugace brivido della bellezza dell’Essere, che ci ricorda l’irripetibile unicità dell'”essere nel mondo”.